In questi mesi ogni docente, genitore e forse ogni bambino e bambina, hanno pensato alla scuola in modi del tutto unici ed originali.
Dopo tanto ragionare, recriminare, discutere e ipotizzare, ciò che resta di importante ed essenziale, sono i bambini.
Alla scuola dell’infanzia sono i soggetti attivi intorno a cui tutto ruota, dalla scelta delle attività alla modalità del saluto al mattino persino l’abbigliamento di una maestra è accoglienza.
Come molti sanno le docenti spesso indossano grembiuli colorati, scelti con cura tra tanti, abbinati alle preferenze dei bimbi, alle stagioni, all’umore personale o alle attività quotidiane; ovviamente non stiamo indossandone nessuno da settimane eppure sappiate che non li abbiamo abbandonati in reconditi spazi dei nostri armadi.
Li abbiamo riposti piegandoli con affetto e cura, speranzose di poterli indossare quanto prima; di poter tenere nelle capienti tasche colorate i disegni variopinti che ci donano bambini e bambine dai grandi occhi affamati di conoscenza, i fazzoletti sempre pronti a soffiare i nasini, matite colorate di tutte le dimensioni ed un temperino salva capolavori, salviettine umidificate e fiorellini raccolti in giardino come una moltitudine di pezzi di lego per accorrere se la torre che stanno costruendo ha bisogno di un tetto…
Il 26 Giugno abbiamo avuto la possibilità di rispolverarli virtualmente per essere di nuovo più vicine alle “nostre famiglie”, ne abbiamo percepito il fruscio e rivissuto il profumo di ammorbidente che ai bambini tanto piace.
Un pomeriggio intenso.
Le settimane precedenti ci siamo sentite tra noi per ore cercando di accordarci e di strutturare un saluto il più speciale possibile a chi si troverà presto in una nuova realtà scolastica che li avvolgerà in modo del tutto nuovo accompagnando bambini e genitori in una realtà di confronto su altri piani.
Il nostro vissuto è stato controverso e fortissimamente sentito.
Da giorni programmato nei dettagli, ragionato sulle possibili reazioni di ognuno, minuziosamente visto e rivisto per renderlo caldo ed umano nonostante la distanza fisica e lo schermo frapposto tra tutti noi.
Vi racconto il mio punto di vista, sicura che sia stato lo stesso per tutte le docenti della nostra scuola.
Quando il momento si approssimava non posso negare un vuoto allo stomaco, le raccomandazioni ai famigliari in casa perchè non passassero mai dietro di me e velatissime minacce per ottenere il silenzio più assoluto, i respiri profondi fatti prima di accedere alla stanza di meet per il collegamento e il tremore delle gambe al primo accenno di diminuzione di connessione.
Poi loro.
I primi “CIAO” e le manine sventolanti davanti alla video camera.
Piccoli musini cresciuti anche se l’ultimo incontro era stato la settimana prima; credo di averli visti cambiati perchè sono tornata a tre anni fa, ne ricordavo i primi momenti di contatto con la scuola, il separarsi dai genitori al mattino, i nuovi approcci a racconti incredibili ed avventurosi, il loro guardarmi con occhioni che dicevano tutto di mondi unici e meravigliosi. Ho ricordato gli “OHHHH” di meraviglia all’aprirsi dei bozzoli delle farfalle allevate in classe da quando erano ancora piccoli bruchi a cui avevamo dato il nome dei giorni della settimana, quando giocando con farina, acqua e sale ottenevamo piccole sculture, i giorni di giochi di equilibrio e corse, il miscelare rosso e giallo per scoprire mille arancioni diversi, le merende, le canzoni di cui scordavo sistematicamente i testi e loro che me li suggerivano… momenti di vita condivisa che hanno fatto crescere ed imparare anche me mettendomi alla prova e facendomi trovare nuove vie di apprendimento ed insegnamento.
Momenti che sono corsi velocissimi, ma che resteranno con me.
Sabato ho sentito un tuffo al cuore quando è stato il mio momento di iniziare a parlare.
Sarei dovuta essere la prima ed avevo sottovalutato questo fatto invece molto importante; nei giorni precedenti ci eravamo divise le parole da dedicare per creare una staffetta di messaggi di saluto e riflessione; però, per quanto io cercassi di controllarmi, la voce non è uscita.
Nella mia carriera scolastica ho affrontato una ventina di saluti ai Remigini e sabato mi sono trovata ad essere totalmente sopraffatta dall’emozione.
Cosa ho fatto? Quello che tutte noi abbiamo fatto, ho chiesto scusa procrastinando di qualche istante e ho letto tra le lacrime trattenute le parole cesellate su misura per quella bimba; così hanno fatto le colleghe dopo di me che vedevo faticare a trattenere il turbine che ci stava avvolgendo. Un turbine color arcobaleno, di cipria e talco, di margherite e vento fresco.
Alla prima mamma che ha preso il fazzoletto cercando di non farsi notare ci siamo sciolte, letteralmente sciolte in un’emozionante empatia e quelle lacrime miste tra frustrazione, separazione e speranza hanno parlato a tutti e per tutti.
Come avrei voluto abbracciare ognuno di loro, spostare i capelli dalla fronte e sussurrargli: “Sei uno splendore”, ma credo che lo abbiano sentito suonare comunque dentro di loro.
È innegabile, le emozioni si spargono nel mondo proprio come diceva Rodari
«Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Oggetti che se ne stavano ciascuno per conto proprio, nella sua pace o nel suo sonno, sono come richiamati in vita, obbligati a reagire, a entrare in rapporto tra loro. Altri movimenti invisibili si propagano in profondità, in tutte le direzioni, mentre il sasso precipita smuovendo alghe, spaventando pesci, causando sempre nuove agitazioni molecolari. Quando poi tocca il fondo, sommuove la fanghiglia, urta gli oggetti che vi giacevano dimenticati, alcuni dei quali ora vengono dissepolti, altri ricoperti a turno dalla sabbia. Innumerevoli eventi, o micro eventi, si succedono in un tempo brevissimo. Forse nemmeno ad aver tempo e voglia si potrebbero registrare tutti, senza omissioni.
Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente, per accettare e respingere, collegare e censurare, costruire e distruggere.»
Barbara Frigerio
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